Oggi vi presentiamo un’intervista con l’amico Victor Rossi, registrata alcuni mesi fa a Firburgo mentre rappresentava Mr. Gondola nello spettacolo 2022 “Limbes” del Cirque Starlight (CH).
Victor Rossi fa parte dell’8a generazione di artisti circensi: il suo ramo dell’albero genealogico conta per lo più clown e comici e l’antenato Diego Rossi, di cui si parla in alcuni documenti risalenti al 1717 ritrovati da Victor stesso, era un “buffone” de re, nonché professore di acrobatica alla corte dei regnanti di Francia e Inghilterra.
Ciao Victor, raccontaci come hai iniziato la tua carriera circense
Ho cominciato a lavorare all’età di 5 anni al 21° Festival di Monte Carlo, assieme a mio papà (Maurin Rossi) e a Sergio, presentatore del Festival dell’epoca. Fino ai 17 anni ho lavorato con la mia famiglia, in pista da Knie, Krone, Maximum, e molti altri, fin quando ritornammo a Monte Carlo nel 2010, dove abbiamo vinto il Clown di Bronzo. In seguito, ho deciso di iniziare una carriera da solo, che sto continuando a portare avanti tutt’oggi.
Da solista hai, quasi fin da subito, iniziato ad esibirti in grandi complessi
Sì, nel 2013 sono partito per gli Stati Uniti e ho iniziato a lavorare per il Ringling and Barnum & Bailey Circus, il più famoso circo del mondo, in cui mi sono esibito fino all’ultimissimo spettacolo.
Un’emozione unica, immagino
Beh sì, lavorare lì è stata un’esperienza fantastica, che penso avrebbe voluto fare qualunque artista del nostro mondo. Pensa che io ho vissuto l’ultimissimo spettacolo: era il maggio 2017, eravamo a Uniondale e facevo parte del Blue Tour, l’ultimo a chiudere appunto. Fu un pianto unico, per gli artisti ma anche per tutti gli americani: nell’ultima città, in totale, ci furono 84'000 persone nello stadio, l’ultimissimo spettacolo circa 20'000 con gente seduta pure sulle scale. Sai, per gli States il Circo Ringling era più vecchio del baseball o della Coca-Cola. Bellissima esperienza ma un brutto giorno: stava scomparendo davvero il “Greatest Show on Earth”.
In seguito sei tornato in Europa, e…
Tornato qui ho scritto e montato il mio primo One-man-show, in tour inizialmente nei teatri della Francia e poi in crociera. In seguito ho voluto sperimentare il mondo dei musical, tant’è che sono stato chiamato da Rolf Knie per il suo musical-show dedicato al Circus Knie.
Sei un artista polivalente, riesci a calarti in tanti tipi di personaggi negli ambienti più disparati (circo, musical, teatro,…)
Ci tengo a sottolineare: mi piace molto il circo tradizionale, io nasco lì e non lo rinnegherò mai, ma mi piace sempre cambiare tipo di spettacolo in cui esibirmi. Nel nostro ambiente è difficile annoiarsi e il cambiamento è all’ordine del giorno: cambi spesso città, cambia il pubblico, cambi la lingua…ogni spettacolo è una cosa differente. In più, se hai progetti sempre diversi è ancora più bello: il tuo personaggio è sempre quello, ma lo cambi un po’ e provi nuove cose, che magari potrai mantenere in futuro per altri ingaggi.
Tu hai iniziato fin da piccolo a fare il clown, ma hai imparato anche altre discipline
e in pista si vede
Certo, fin da piccolo sono sempre stato appassionato di giocoleria e da bambino mai avrei pensato di fare il clown, volevo solo essere un giocoliere. Parallelamente, quando avevo 5 anni ho iniziato con mio nonno a suonare degli strumenti musicali (fisarmonica) ed ad esercitare il solfeggio. Più tardi con mio papà ho imparato il clarinetto, clarino ed il sassofono. Diciamo che oggi so suonare diversi strumenti, ma quelli che posso dire di suonare bene bene sono la fisarmonica, il sassofono, il clarino e lo xilofono, come da tradizione famigliare. Verso i 17 anni ho iniziato ad appassionarmi per l’acrobazia e la comicità.
Difatti tu oggi ti reputi più un comico che un clown, vero?
Esatto, in adolescenza ho cominciato a maturare un interesse per la comicità, più One-man-show che clown. Così ho cominciato a scrivere qualcosa che poi ho lasciato fermo, pensando che magari un giorno avrebbe potuto diventare realtà. Finiti gli ingaggi con la mia famiglia da Knie (2009) e MonteCarlo, mi sono buttato. Da lì ho iniziato a creare i miei personaggi, con l’aiuto in primis di mio papà e di tante altre persone, ma anche un po’ da solo.
Nel teatro e nel circo contemporaneo cambi spesso il tipo di personaggio,
è difficile calarsi nella parte?
Guarda, sul palco sono io, io della vita di tutti i giorni, solo che ci metto un 15% in più, ma di base devi sempre essere tu. Se non sei tu, non sei credibile. Il mio grande amico Pierre Etaix diceva “ci sono attori e clown, i clown siamo noi e siamo reali”. Il clown dev’essere sé stesso, più sei tu anche sul palco, più sei credibile. Ti faccio un esempio: Mr. Gondola che interpreto qui da Starlight è una parte di me, lui è gentile, un po’ smemorato, dimentica, non è stupido ma per lui tutto è positivo e non vede problemi…e così sono un po’ anche io nella vita. Tu non devi entrare nel personaggio, tu devi essere il personaggio.
Mr. Gondola non è un personaggio facile, quanto tempo hai investito per diventare lui?
Abbiamo fatto 6 settimane di prove, ma era già più di un anno che sapevo dello spettacolo e sapevo qual era il personaggio che avrei dovuto essere. Ho cominciato a informarmi in generale, anche sulle patologie, ad esempio: a Ginevra esco dallo spettacolo nel foyer, ancora truccato, una signora si avvicina piangendo e mi dice “volevo ringraziarti perché mi hai ricordato mio marito, deceduto 2 settimane fa, era malato di Alzheimer. Volevo solo dirti “bravo” perché l’hai rappresentato molto bene, senza offendere.” Mr. Gondola infatti continua a dimenticare, ma allo stesso tempo è felice, perché non ricorda o capisce esattamente il male che gli sta intorno. Molti non ci pensano, ma rappresentare un personaggio non è solo truccarsi e andare sul palco, ci sta dietro un grande lavoro di ricerca.
Un grande lavoro svolto da te ed il regista
È stato difficile, abbiamo passato tanto tempo con Christopher Gasser (regista) alle prove. Bisogna sicuramente seguire l’idea del regista, non puoi proprio fare come vuoi tu, ma allo stesso tempo anche il regista deve avere fiducia dell’artista. Con Christopher siamo stati subito in sintonia, è stato un lavoro lungo e duro, ma ha fruttato molto bene.
Come fai a capire se il personaggio che hai creato, o che interpreti, va bene?
Odio rivedermi ma ogni tanto devi: ti filmi, vedi se il personaggio funziona, cambi qualcosa. Ma poi questo varia molto anche dal luogo in cui lavori: modifichi il tuo personaggio a dipendenza dello spettacolo, del teatro o del musical. Se ti piace e credi che funziona, puoi mixare varie sfaccettature di personaggi che hai interpretato in passato, tieni un po’ di questo e un po’ di quello. Poi c’è da dire che se fai un lavoro di ricerca prima, senti tu stesso se funziona o no. Questo è il bello del nostro lavoro: anche quando non sei sul palco, lavori. Quando ho giorni liberi non mi piace stare fermo a riposare, ma vado in giro a visitare e scoprire: tutto può essere un’ispirazione.
Hai lavorato in diversi circhi, teatri, musical, crociere, ecc.
Che differenze ci sono nella preparazione?
Nella preparazione l’esempio che ti porto è il trucco: da Knie era un trucco leggero e veloce, qui ci vuole un’ora. Per non parlare di tutto ciò che faccio nello spettacolo: ho gli strumenti da scaldare, il soundcheck, devo arrivare prima nel foyer. Praticamente se lo spettacolo parte alle 20, io inizio a prepararmi alle 17 e la giornata finisce alle 23, mezz’oretta dopo la fine dello show.
Hai lavorato da Ringling che, aldilà delle 80'000 persone dell’ultimo show, spesso erano in media 15'000 spettatori a spettacolo. Hai lavorato però anche in circhi o teatri con molto meno pubblico. Come fai ad adeguarti, cosa cambi del tuo personaggio?
Da Ringling la mimica facciale la vedono in prima fila, nel secondo caso riescono a vederlo tutti. In America lavori differentemente: in uno stadio con 15'000 persone lavori per 3-4 persone, uno a destra, uno a sinistra, uno davanti e loro fanno il lavoro per te. Se riesci ad avere quella persona, tutti gli spettatori dietro di lui seguono: questo è molto il modo di lavorare americano. La stessa cosa fai fatica a farla in altri posti: a Parigi per esempio non riusciresti, se uno ride e il vicino non vuole ridere, non ride. Mentre se lavori in posti molto più piccoli, anche con 80 persone, stai lavorando praticamente per ognuno di loro.
Come fai a capire la differenza tra un pubblico ed un altro? Cosa cambi?
Hai 10 secondi quando arrivi sul palco per capire com’è il pubblico, non di più. Da Starlight, per esempio, l’inizio dello spettacolo è molto dark e cupo, poi dopo 25 minuti arrivo io che a prima vista sembro non centrare nulla con quello show. Se arrivo troppo felice non va, se arrivo troppo calmo o triste nemmeno. Devi capire al volo come comportarti: noti se il pubblico è rilassato oppure no. Questa sera ho subito notato che il pubblico era rilassato e allora devi essere più posato, più lento, così dai il tempo per capire chi sei. A La Chaux-de-Fonds qualche settimana fa mi è invece capitato il contrario, quando mi hanno sentito cantare che non ero ancora sul palco, il pubblico stava già parlando e ridendo tra di loro. Capisci che “sanno quello che sono”, dunque lavori più veloce. In una serata come oggi devi inserirti più tranquillamente, semplicemente aggiungendo due-tre frasi in più, oppure in entrata (con il battello di Mr. Gondola da Starlight, per esempio) vado più lento, cosi il pubblico ha più tempo di capire chi sono.
Devi quasi essere uno psicologo quindi
Quando lavori con il pubblico è pura psicologia: anche quando nella mia ripresa vado a prendere qualcuno del pubblico devo capire come si comporta, lo tocco e vedo come si muove. Devi riuscire a capire cosa pensa una persona quando è sul palco con te. La parte difficile è farle fare quello che vuoi tu senza che lei lo sappia e senza prenderla in giro: in quel momento è lui che diventa l’artista e tu diventi “la spalla”. Tanta psicologia, tanta improvvisazione e tanta esperienza.
Cosa ami di più del tuo lavoro?
Per noi gli applausi sono una cosa molto bella, ma io preferisco ancor di più il fatto di riuscire a passare un messaggio: se sei sul palco, racconti una barzelletta e riesci a far ridere il pubblico è bello, però per me come artista non è sufficiente. Riuscire a passare un messaggio mi dà un senso maggiore di soddisfazione. Qualunque sia, se vedi che il pubblico che sorride, capisci subito se quel messaggio è passato. Un’altra cosa molto bella, che sembra un controsenso per un clown, è fare piangere (nel senso positivo del termine): qui da Starlight ogni tanto succede ed è emozionante. Questo ti tocca sia come clown, come artista ma anche come uomo.
I due anni di pandemia ci hanno segnato, soprattutto il mondo dello spettacolo che è stato fermo. Tu che sei una persona sempre attiva come hai reagito?
All’inizio della pandemia sono stato bloccato per 80 giorni su una nave da crociera: in quelle settimane sono resistito grazie al mio lavoro, ho scritto il mio nuovo One-man-show, ho provato, ho cambiato, ecc. Quando c’è un problema cerchiamo di trovare il lato positivo e la soluzione.
Hai ancora dei sogni nel cassetto?
Il mio sogno principale è continuare a lavorare, non potrei fare un altro lavoro. Tanti miei amici durante la pandemia hanno cambiato, io magari riuscirei a fare altro perché ho fatto delle esperienze, ma non mi piacerebbe e non resisterei molto. Il mio lavoro è la mia vita, non mi vedo da nessun’altra parte. È una passione, vivo per il mio lavoro ed è questo il mio sogno.
Progetti futuri?
Attualmente mi trovo in crociera nel mediterraneo con il mio One-man-show. Avrei dovuto far parte dello nuovo show DFC (Disco Funk Circus) a Parigi a Les Folies Bergère, ma a causa della situazione internazionale è stato posticipato al prossimo anno. Il prossimo Natale ritornerò a lavorare con mio papà e mio fratello, dopo ben 13 anni! Saremo in pista al Cirque de Noël di Ginevra e stiamo già preparando qualcosa assieme.
Chiudiamo con un consiglio, a coloro che vorrebbero intraprendere
una carriera come la tua?
Ascolta i consigli e ascolta te stesso. Dovresti capire se quello che stai facendo funziona oppure no. Segui il tuo sogno, qualunque sia, e non seguire quelli degli altri. Nel senso che, se un’artista vuole a tutti i costi arrivare su un palco, qualsiasi, anche piccolo, quello può essere per lui anche un grande sogno. Devi sentire se fa per te, può essere anche un grandissimo contratto, ma se non lo senti tuo è meglio non prenderlo. Rispettivamente può essere che un piccolo progetto, che senti tuo, diventa una delle cose più belle. Lo senti subito. Poi mai dire mai: potrebbe essere anche “colpa” tua, magari in un momento non ti senti pronto, però dopo qualche anno ti richiamano per la stessa cosa e la accetti, perché hai fatto altre esperienze e sei maturato. Dev’esserci intelligenza: se non sei sicuro di riuscire a dare il 100%, non farlo.
Grazie mille Victor!
Testo
A. Eglin
Foto
Victor Rossi
Thierry Bissat